FAQ – Genitori
Gli esperti rispondono alle domande più frequenti dei genitori
L’attività svolta nell’ambito del progetto Nidoinsieme si propone di fornire un supporto ai genitori e alle famiglie di bambini nella fascia d’età della prima infanzia stimolandoli a condividere dubbi ed interrogativi comuni.
Di seguito si riportano alcune domande frequenti che possono aiutarvi ad inquadrare o affrontare determinate problematiche.
Faq genitori
1. Talvolta mi confronto con colleghi ed amici in merito alla decisione di iscrivere mio figlio al nido ed alcuni di loro mi invitano a prendere in considerazione delle scelte alternative (cura dei nonni, baby sitter a domicilio, …) per evitare il distacco del bambino da figure familiari e dall’ambiente di vita. Pensano forse che non gli voglio abbastanza bene?
L’ingresso all’asilo nido del proprio figlio è quasi sempre una scelta forzata da esigenze organizzative. Pertanto molti genitori sperimentano il timore di dover lasciare il bambino così piccolo al di fuori dal proprio ambiente familiare. L’inserimento al nido è un momento delicato e ricco di significato poiché spesso costituisce la prima separazione tra genitori e figlio: si tratta di un passaggio significativo nella vita di entrambi. Accanto alle difficoltà di separazione vi sono infatti anche quelle logistiche, legate alla riorganizzazione della routine familiare, ma l’organizzazione degli asili nido presenti sul territorio prevede un raccordo con le diverse esigenze delle famiglie. Le strutture italiane sono più che adeguate non solo negli spazi, ma anche nella formazione del personale che è preparato ad accompagnare i genitori a questo primo distacco.
Durante l’inserimento al nido e, in generale, nella consuetudine che si crea con la frequenza quotidiana della struttura, i momenti di separazione si alternano a quelli di riavvicinamento che sono talvolta difficili da gestire da bambini così piccoli che manifestano la loro emotività attraverso il pianto. Nonostante quello che temono i genitori, il pianto è indice di un buon livello di attaccamento e di relazione con i propri adulti di riferimento.
Questa prima separazione, per quanto necessaria, non è naturale e scevra da difficoltà emotive e psicologiche, sia per i bambini che per i genitori, ma può trasformarsi in un’ottima occasione di crescita e di costruzione di una rete sociale allargata anche ad altre famiglie con bambini. Anche le educatrici divengono delle figure di riferimento da interpellare in caso di dubbi sul benessere del proprio bambino venendo ad arricchire la rete delle relazioni a sostegno della famiglia.
2. Mio figlio di quasi tre anni quando si trova con i nonni si comporta benissimo. Le insegnanti mi descrivono un bambino modello. Quando si trova insieme a me o con mio marito ne combina di tutti i colori. Mi chiedo quale sia il nostro sbaglio?
Il fatto che il bambino attivi dei comportamenti oppositivi o di sfida non è legato al fatto che siano presenti dei problemi o che vi sia qualche aspetto disfunzionale nella relazione con i genitori; tutto il contrario! I bambini tendono a comportarsi in modo più infantile con i genitori che con le altre persone in virtù del vincolo affettivo che li lega a loro. Nella relazione con i genitori il bambino sente di poter esprimere liberamente sé stesso e confida nella loro capacità di assecondare il suo bisogno di autonomia e di non soffocare indiscriminatamente la libera espressione dei suoi desideri.
Il bambino inizia a comprendere le regole di funzionamento del mondo osservando le reazioni degli adulti. Nel corso delle interazioni sociali il bambino acquisisce le regole di condotta e i principi della convivenza sociale assimilando i modelli di comportamento della cultura a cui appartiene. La socializzazione inevitabilmente comporta che il bambino accetti il rinvio nella soddisfazione immediata dei propri desideri che costituisce il presupposto delle reazioni di opposizione del bambino tra i 18 mesi e i 3 anni. Questi atteggiamenti, che i genitori tendono a reprimere perché talvolta rendono difficile la vita familiare, sono indicativi di un bisogno di autonomia che il bambino possiede solo se ha raggiunto un adeguato livello di fiducia in sé stesso e nella propria capacità di controllare gli eventi che accadono nel suo contesto di vita. È consigliabile quindi permettere al bambino di cimentarsi il più possibile da solo con i propri vestiti, con il cibo ed il riordino dei giochi evitando le eccessive negazioni che possono causare l’instaurarsi di comportamenti apatici.
3. Mio figlio di quattro anni è molto geloso dei suoi giochi: al parco si arrabbia se gli altri bambini li toccano. Anche alla scuola materna non condivide i giochi e spintona gli altri bambini che vogliono inserirsi nell’attività. Cosa pensano gli altri genitori della nostra famiglia? Potrebbe da grande diventare un bullo?
In questa fase della vita del bambino si verificano dei progressi anche nel rapporto con i coetanei. L’interesse si sposta gradualmente dai giochi ai compagni di gioco. I bambini diventano sensibili alla presenza dei pari e lo dimostrano attraverso sorrisi, tentativi di approccio e di imitazione. Compaiono anche i primi tentativi di collaborazione nel corso del gioco: i bambini imparano ad osservare i giochi degli altri, ad associarsi in vista di uno scopo comune (ad esempio, partecipano alla costruzione di un oggetto comune) ed a svolgere dei giochi di ruolo complementari (ad esempio, nel gioco della famiglia assumono il ruolo del padre o della madre). Pur essendoci questo iniziale comportamento cooperativo il bambino, avendo ancora una forte spinta egocentrica, non riesce ancora a prendere in considerazione le esigenze dei compagni con i quali spesso avvia litigi per il possesso dei giocattoli. Il rapporto sociale tra bambini di pari età si esprime essenzialmente nella attività ludica e si caratterizza per i frequenti litigi che sono solitamente di breve durata e non lasciano delle conseguenze negli atteggiamenti degli uni verso gli altri. È stato notato che i bambini in questi anni litigano più spesso con gli amici piuttosto che con i compagni occasionali avviando aggressioni fisiche verso i pari o verso gli oggetti di questi ultimi oppure aggressioni verbali che con il tempo diventano sempre più frequenti a scapito delle aggressioni fisiche. I conflitti sono dovuti alle contestazioni per il possesso dei giochi oppure a sentimenti di rivalità. Nel contesto del gruppo in età prescolare alcuni bambini talvolta iniziano ad esprimere le loro doti di leader dei gruppi e, in tal caso, occorre prestare attenzione affinché tali caratteristiche non si traducano in atteggiamenti dominanti ed autoritari verso i pari, ma vengano orientate verso scopi costruttivi e cooperativi.
4. Quando siamo a casa mio figlio di quattro anni si annoia quando noi genitori non possiamo giocare con lui e chiede di guardare la TV (o il tablet o il cellulare) per intrattenersi. Quali attività posso organizzare per fargli passare il tempo?
Le ricerche neuroscientifiche confermano che è bene limitare il tempo trascorso davanti alla TV (o altri dispositivi) a un numero di ore variabile tra una e tre a seconda dell’età. Questo non significa che i genitori debbano essere sempre a disposizione per giocare né tantomeno che debbano fare gli “animatori”.
Innanzitutto, già dalla prima infanzia è possibile proporre e incoraggiare il gioco autonomo che, da un lato, permette al genitore di svolgere le mansioni domestiche o di rilassarsi e, dall’altro, consente al bambino di sviluppare la creatività, l’indipendenza e un buon senso di auto-efficacia personale. È importante innanzitutto mettere in sicurezza l’ambiente in cui il bambino si muove e gioca al fine di evitare il rischio di incidenti. In secondo luogo, è bene organizzare lo spazio in modo che sia il più possibile funzionale al bambino: pochi giocattoli (in modo che possa scegliere senza andare in confusione) disposti su ripiani bassi e ben stabili, oppure anche a terra, dentro cesti e scatole. Quando sono piccoli alcuni esempi di giocattoli idonei a favorire il gioco autonomo sono: libri, disegno, sabbia, tessere magnetiche, costruzioni, puzzle, pista delle macchinine, peluches, bambolotti e tutti i giochi che lo incoraggino a “mettersi nei panni di” attraverso un gioco di ruoli (utensili da cucina, attrezzi per i diversi lavori manuali, strumenti e prodotti per svolgere le pulizie, ecc.). I bambini in età pre-scolare sono già in grado di immaginare un oggetto o una situazione, indipendentemente dalla realtà concreta, hanno una creatività nel gioco che diviene sempre più complessa e sono in grado di mettere in atto situazioni di finzione sempre più elaborate ed ingegnose. È consigliabile quindi mettere disposizione oggetti e suppellettili presenti nella casa (che possono diventare, grazie alla loro immaginazione, qualcosa di altro), materiali da modellare (plastilina, pongo o argilla), matite colorate e fogli. È auspicabile lasciare che il bambino si concentri fornendogli aiuto, supporto e consigli, solo quando è necessario, senza sostituirsi a lui ed evitando di agire un controllo attivo sulla sua attività correggendola o interrompendola. Le prime volte sarà meglio rimanere presenti nella stessa stanza accanto al bambino. In seguito, si potrà man mano introdurre il concetto che ognuno, genitore e figlio, svolge il proprio lavoro in stanze diverse. In ogni caso, anche quando il bambino avrà iniziato ad abituarsi ai momenti di gioco autonomo e dimostrerà di apprezzarli, è importante che si sia sempre disponibili per lui, rimanendo a vista, se possibile, o comunque ad una distanza tale da poterlo udire.
5. Sto notando che mio figlio ha ripreso a mettere in atto comportamenti di quando era più piccolo: fa pipì a letto, fa i capricci per andare a dormire, fa fatica ad andare a scuola materna. Come devo comportarmi?
L’evoluzione del bambino e, in particolare, l’acquisizione di nuove abilità e autonomie non segue un percorso lineare, ma una si snoda in una sequenza di progressi e regressioni. Si tratta di un processo del tutto normale che ha lo scopo di permettere al bambino di guadagnare una sempre maggiore sicurezza nelle sue possibilità di azione e di controllo sull’ambiente: è come se esplorasse nuove modalità per poi tornare alle precedenti per poi proseguire di nuovo in avanti non appena acquisirà una maggiore fiducia in sé stesso. È dunque comune che ciò accada senza che rappresenti un segnale di sofferenza o di alterazione del consueto sviluppo dei bambini.
In circostanze come queste è importante porsi nei confronti del bambino con un atteggiamento di comprensione, disponibilità e supporto: rispettare i suoi tempi e fornirgli dei riconoscimenti positivi anche in presenza di comportamenti che lo riportano a fasi precedenti del suo sviluppo. Un atteggiamento accogliente lo aiuterà a sentirsi al sicuro e gli permetterà di ricominciare ad esplorare e acquisire nuove autonomie in un secondo momento.
I comportamenti regressivi si accentuano in momenti di cambiamento o di stress vissuti nel proprio contesto quotidiano. Rappresentano una richiesta di vicinanza e protezione nei momenti in cui il bambino può sentire maggiormente il bisogno di essere dipendente dall’adulto per affrontare situazioni nuove come, ad esempio, l’inizio della scuola, o un cambiamento nelle consuete routine familiari o, ancora, nei momenti di stress psicologico degli adulti di riferimento. In quest’ultimo caso può essere utile riflettere sul proprio stato emotivo e condividere anche i propri vissuti di fatica con i propri bambini rassicurandoli sulle capacità del genitore di fronteggiarle ed utilizzando parole adeguate alla loro capacità di comprensione. Ciò può essere una buona occasione di condivisione emotiva che permette al bambino di avere un’idea di ciò che accade e comprendere che è possibile comunicare e affrontare tutti i tipi di emozioni, anche quelle che possono provocarci dispiacere o sofferenza.
6. Mio figlio di cinque anni spesso non ha voglia di uscire e mi chiede di restare a casa. Questa sua inclinazione mi provoca dispiacere e vorrei aiutarlo ad essere più propositivo, ma non so come fare
Un bambino che non vuole uscire può generare allarme nei genitori che possono interpretare questo comportamento come sintomo di insicurezza, di un carattere timido o di una difficoltà di relazione con gli altri bambini. In questo contesto è più che comprensibile la preoccupazione degli adulti e il desiderio di proteggere i bambini da una possibile fonte di sofferenza.
In realtà, come molti comportamenti dei bambini più piccoli, può trattarsi di una fase transitoria che corrisponde ad un bisogno momentaneo del bambino e che non necessita di interventi specifici. Anche l’indole del bambino ha una sua rilevanza in queste situazioni: ci sono bambini molto estroversi mentre altri sono più timidi e riservati ma senza che ciò corrisponda a particolari situazioni di disagio o a fonti di preoccupazione.
Occorre quindi evitare di preoccuparsi subito e aspettare di capire se si tratta di un momento di particolare bisogno del bambino destinato a risolversi da solo. In questi casi la nostra preoccupazione potrebbe essere avvertita dai bambini andando a sollecitare in loro un ulteriore bisogno di vicinanza e protezione.
Può essere utile anche creare delle routine che prevedano di rimanere al di fuori delle mura domestiche (ad esempio, il parco dopo l’uscita dalla scuola materna) che sono rassicuranti per i bambini evitando loro la responsabilità di assumere delle decisioni (ad es. scelta delle attività, luoghi in cui andare, cibi da mangiare).
In ogni caso è sempre indicato seguire, agevolare ed assecondare il temperamento del figlio: non tutti i bambini sono uguali fra loro e bisogna sempre stare attenti a non sovrapporre il bambino ideale, che ciascuno di noi ha in mente, con la realtà dei nostri figli. I bambini hanno tempi e modalità di sviluppo anche molto diversi l’uno dall’altro. Ad esempio, è possibile che un bambino possa trovare interessante la compagnia dei pari in un’età magari più avanzata rispetto ad altri che sono più estroversi e socievoli.
Occorre anche valutare se si tratta di un periodo delicato o difficile per la famiglia o per uno dei genitori. In questo caso, la scarsa propensione a stare fuori potrebbe indicare il fatto che il bambino ha colto, anche in modo inconsapevole, che a casa c’è qualche difficoltà. In questo caso può essere utile l’aiuto di uno specialista che aiuti la famiglia a superare il momento di fatica.
7. Mi rendo conto che, a volte, per stanchezza o nervosismo, ho reazioni eccessive, sia con il mio partner sia con mio figlio di due anni. Devo preoccuparmi?
Essere buoni genitori, così come essere buoni partner, non significa andare sempre d’accordo, né essere perennemente felici, né saper sempre gestire nel migliore dei modi tutte le situazioni. A Winnicott, pediatra e psicoanalista britannico, si deve la teoria delle cure materne “sufficientemente buone” in grado di costituire una “base sicura” per il suo sviluppo. La persona fidata, o figura di attaccamento, attraverso la sua capacità di comprendere i bisogni del bambino e di promuovere la sua progressiva autonomia, costituisce il riferimento costante per il bambino a cui ricorrere in caso di difficoltà. L’aspetto centrale non è quindi la perfezione bensì la costanza e continuità con cui il genitore si pone come sostegno valido e consistente incoraggiando e rispettando l’autonomia del bambino. Al contrario, un’esperienza di separazione e di perdita, anche se usata solo come minaccia o sanzione disciplinare, può minare la fiducia negli altri e in sé stessi.
I risultati di alcuni studi condotti nell’ambito della psicologia confermano come, anche da un punto di vista della relazione, non sia auspicabile perseguire ideali in senso assoluto ma che vale la cosiddetta regola dei terzi. Questa “regola” afferma che una relazione genitore-figlio è funzionale quando, della totalità delle interazioni, un terzo avviene in sintonia e armonia, un terzo riguarda rotture ed incomprensioni e un terzo consiste nei tentativi, da parte del genitore, di riparare.
Pertanto, anche nelle relazioni familiari, appare utile evitare di ambire alla perfezione, ma, in caso di reazioni eccessive, esprimere in modo autentico il proprio dispiacere al fine di ricucire la comunicazione e rasserenare l’atmosfera familiare. Con il partner è utile anche parlare in modo aperto del proprio stato d’animo condividendo le proprie difficoltà o fatiche.
8. Mio figlio fa domande riguardo la guerra. È giusto affrontare l’argomento? Come posso parlargliene senza turbarlo?
La guerra è oggi un tema centrale nell’informazione e nelle preoccupazioni delle persone. Potremmo ritenere che si tratti di un argomento non adatto ad essere trattato con i bambini e quindi essere portati, per proteggerli, ad evitarlo o a negare le nostre preoccupazioni di fronte alle loro domande.
I bambini però osservano e percepiscono una serie di segnali che provengono da diversi canali: la televisione, i discorsi degli adulti e, soprattutto, dal clima di preoccupazione che trapela da tutto il contesto. Questi messaggi giungono ai bambini e, per questa ragione, è importante che vengano inseriti in un racconto, in una narrazione coerente che gli permetta di dare un senso a ciò che stanno percependo e osservando.
Il tema della guerra inoltre non è del tutto estraneo ai bambini perché è presente nei loro giochi: il gioco di ruolo consente di comprendere delle importanti differenze, come, ad esempio, quella tra bene e male, tra giusto e sbagliato o i diversi ruoli che si possono assumere all’interno di un gruppo. Il bambino, attraverso il gioco, può permettersi di esplorare in maniera protetta un’ampia gamma di emozioni che vanno dalla rabbia alla compassione. Si tratta della costruzione di un vero e proprio copione che viene messo in scena per comprendere ciò che sta accadendo. Parlarne con loro è dunque utile a facilitargli questo compito.
Per affrontare in maniera costruttiva l’argomento potrebbe essere utile partire da sé stessi, provando a chiedersi cosa si è capito di questo o quel conflitto e qual è il proprio vissuto al riguardo. Questo passaggio è importante perché i bambini tentano di darsi una risposta partendo soprattutto dai messaggi che raccolgono dai propri genitori e adulti di riferimento. Può essere un utile punto di partenza per creare insieme ai bambini un racconto coerente e condiviso. Se si è spaventati dal conflitto, ad esempio, la nostra preoccupazione verrà trasmessa ai bambini ed è giusto non negarla condividendola con loro e rassicurandoli al tempo stesso. Così come, se si ritiene che un determinato conflitto sia ingiusto, si può condividere l’emozione di rabbia ed il senso di ingiustizia.
Un’accortezza da adottare è di evitare di esporre i bambini direttamente alle notizie dei telegiornali che, attraverso le immagini e le narrazioni spesso dai toni violenti ed allarmanti, rischiano di essere potenzialmente traumatiche. In generale, anche nel ruolo di adulti di riferimento, è utile limitare ad alcuni momenti della giornata, il tempo che dedichiamo all’aggiornamento sui conflitti in corso. La sovraesposizione alle informazioni, spesso anche incerte ed in continua evoluzione, rischia di aumentare il nostro livello di preoccupazione e di dare una rilevanza preponderante all’argomento.
9. Come rendere partecipe mio figlio di tre anni nell’aiuto alle vittime di guerra?
È possibile coinvolgere concretamente i bambini nell’aiuto alle vittime dei conflitti nello stesso modo in cui lo faremmo noi adulti tramite gesti pratici di solidarietà. È importante anche affiancare ai gesti delle spiegazioni dicendo, ad esempio, ai bambini che tante delle persone coinvolte nella guerra si sono trovate da un giorno all’altro senza quasi più nulla, nemmeno una casa, perché obbligati a fuggire per proteggersi. Pertanto le popolazioni di altri Paesi hanno deciso di donare loro beni di prima necessità e alcuni dei loro oggetti, come, ad esempio, coperte, indumenti, etc, per aiutarli ad affrontare meglio il loro viaggio verso un luogo più sicuro. Si può anche pensare di coinvolgere i bambini nella scelta di un oggetto personale o un giocattolo che avrebbero il piacere di far avere ad un loro coetaneo in difficoltà, magari affidandosi alle raccolte organizzate dalle proprie scuole o comuni. Si può pensare, inoltre, di allegare un messaggio all’oggetto con scritto un pensiero o il nome del vostro bambino accompagnando sempre le parole alle azioni in modo da consentire al bambino di comprendere il significato dei comportamenti.
10. Ogni volta che mio figlio di tre anni si mette a piangere non c’è verso di farlo smettere se non dandogli un biscotto o un grissino. Tengo sempre in borsa un pacchetto di patatine, biscotti o dolcetti da dargli quando iniziare a fare i capricci. Ieri ho cambiato borsa e non avevo con me i suoi cibi. Ha pianto per tutto la durata dell’attesa nella sala del pediatra. Come posso fare?
I genitori, grazie alle loro capacità di osservazione e di relazione con il proprio bambino, possono imparare a distinguere i bisogni fisiologici da quelli affettivi e imparare a restituire ai figli questi importanti significati. Meglio concentrarsi sul comprendere le esigenze affettive del bambino, che, attraverso i “capricci”, esprime una richiesta di attenzione privilegiata nei confronti del genitore che non richiede per forza l’alimento, ma la sua presenza. Attraverso il comportamento il bambino esprime sempre un proprio vissuto emotivo o una forte emozione che, in quel momento, risulta per lui poco gestibile. Quando il genitore regolarmente somministra del cibo in risposta alle intemperanze di comportamento, il bambino apprende a procurarsi una sensazione di benessere mangiando e, a lungo andare, si può produrre un’abitudine emozionale fortemente radicata che porta a consumare cibo ogniqualvolta si sperimentino condizioni di disagio o di confusione emotiva. Molti studi sul comportamento alimentare degli adolescenti evidenziano come tali problematiche siano frequentemente accompagnate a scarsa consapevolezza del proprio corpo e dei propri sentimenti. È invece importante aiutare il bambino a distinguere le proprie sensazioni ed a comunicare se si sente annoiato, arrabbiato o affamato.
Oltre agli aspetti psicologici l’assunzione di cibi, zuccherati o molto salati, al di fuori dell’orario dei pasti non costituisce un’abitudine salutare. È infatti opportuno insegnare ai propri figli, fin da piccolissimi, l’importanza di una corretta alimentazione per limitare la possibilità di patologie che l’OMS segnala, quali, ad esempio, obesità infantile, diabete di tipo 1 con esordio in età pediatrica e disturbi della condotta alimentare.
11. A scuola materna mio figlio di quattro anni e mezzo ne combina di tutti i colori. Quando vado a prenderlo le insegnanti mi aspettano per raccontarmi le sue malefatte. Temo sempre questo momento della giornata perché sento che l’insegnante non mi giudica un buon genitore. Quando rientriamo a casa talvolta lo sgrido e lo punisco, ma lui piange e fugge nella sua camera a giocare. Come faccio a fargli capire che il suo comportamento mortifica noi due genitori?
L’utilizzo della punizione si fonda sul principio che il desiderio di evitare una circostanza spiacevole o paurosa costituisca una forte motivazione ad evitare di mettere in atto il comportamento che la provoca. Tuttavia il metodo punitivo provoca risentimento ed ostilità nei confronti di chi somministra la punizione, suscita un aumento dell’emotività e della tensione emotiva generata dall’ansia che può generare un’escalation della collera.
Un primo modo per disinnescare questo cortocircuito emotivo è fermarsi sui pensieri che alimentano la rabbia e la mortificazione mettendoli in discussione. Quali sono i comportamenti di mio figlio che l’insegnante giudica inadeguati? Come vengono affrontati? Viene fornita a mio figlio qualche spiegazione? Solitamente una punizione per un comportamento inadeguato risulta efficace quando, oltre a non suscitare uno stato di ansia e di attivazione eccessivi, avviene in un tempo ravvicinato al comportamento e viene accompagnata da una spiegazione che informi il bambino sul corretto modo di procedere. La sgridata e la punizione, che si verifica a distanza di tempo e su un comportamento narrato da altri, sortisce l’effetto di creare ansia e frustrazione sia nel bambino (che non la connette ad un suo specifico comportamento) sia nel genitore (che, non avendo assistito in prima persona agli eventi, esprime la propria mortificazione che vive per il giudizio dell’insegnante verso di sé).
La ricerca e la valorizzazione del dialogo scuola-famiglia, strutturato attraverso momenti di incontro genitori/insegnanti regolari e pianificati, costituisce un aspetto importante del ruolo educativo poiché crea una connessione tra i due mondi del bambino e consente una lettura circolare dei comportamenti evitando giudizi affrettati ed approssimativi su singoli episodi. Il genitore, ricevendo la comunicazione dell’episodio, può rinviare lo scambio ad un momento diverso, magari già programmato, che consenta l’attivazione di un percorso di riflessione condivisa. Viceversa il perdurare di una condizione di insoddisfazione e frustrazione sia nel bambino sia nel genitore può contribuire a determinare nel bambino un atteggiamento di avversione nei confronti della scuola materna che può sfociare anche in un rifiuto e in una fobia scolare.
12. Mio figlio di due anni e mezzo si arrabbia senza motivo, spacca il gioco e urla… è inconsolabile/incontenibile. Mi sento impotente perché queste reazioni non riesco a ricondurre le sue reazioni ad eventi particolari e quindi non riesco a prevenirle. Cosa posso fare per prevenire e contenere queste reazioni?
L’ira nel bambino è spesso conseguenza della frustrazione e si manifesta attraverso comportamenti aggressivi e distruttivi non sempre rivolti nei confronti della causa della frustrazione. Talvolta sono diretti contro altri oggetti o persone oppure verso sé stessi poiché il bambino non sempre comprende le cause della sua frustrazione oppure gli risulta difficile dirigere il proprio sfogo verso l’oggetto o la persona che lo ha contrariato. Intorno ai due anni il bambino sperimenta una sproporzione tra il suo desiderio di sperimentazione e le possibilità di esprimerlo. Gli adulti pongono dei limiti legati a possibili rischi o incidenti generando nel bambino una frustrazione conseguente all’impossibilità di esplorare l’ambiente e di agire nel suo contesto di vita come desidererebbe fare. Le frequenti reazioni di rabbia in un bambino potrebbero indicare il suo bisogno di occasioni di avere contatti interpersonali, di esplorare e di agire, sia pure sotto la supervisione dell’adulto. È importante, nei limiti del possibile, assecondare il desiderio di autonomia nel bambino permettendogli di compiere alcune scelte legate alla sua persona (giochi, cibi, abiti) cercando di accompagnarlo ad un rispetto delle regole anche proponendogli delle alternative (ad esempio, “Quale maglietta preferisci indossare stamattina, la gialla o la rossa?”) che gli offrano l’opportunità di affermare il proprio punto di vista.
A partire dal terzo anno di vita i momenti di ira diminuiscono in concomitanza dell’acquisizione di maggiori abilità di movimento e di espressione verbale. Inoltre nel bambino aumenta la capacità di esercitare un controllo sugli impulsi di rabbia per evitare le conseguenze spiacevoli come la punizione la disapprovazione. In questo periodo i bambini iniziano anche ad attendere che una loro richiesta venga soddisfatta senza piangere, a chiedere per ottenere ciò che vogliono senza ricorrere alla forza. Il maggiore autocontrollo favorisce anche la capacità di entrare in sintonia con le emozioni degli altri e di comprenderle: compaiono i primi segni di empatia, abilità fondamentale per mettersi in relazione con gli altri.
13. Mio padre è deceduto all‘improvviso e sono disperata. Non ho ancora detto nulla ai miei figli di due e cinque anni perché non so come affrontare l’argomento e perché ho paura che starei troppo male nel raccontarlo. Come faccio a spiegare loro quello che è accaduto senza piangere?
Gli adulti che vivono un lutto di una persona significativa, qual è, ad esempio, un genitore sperimentano il dolore e lo struggimento prima di riuscire a progredire verso una maggiore riorganizzazione. Una delle competenze sociali fondamentali dell’individuo e la capacità di esprimere i propri sentimenti e tale abilità diviene cruciale nelle situazioni critiche dell’esistenza. È importante esprimere le proprie emozioni negative perché solo in questo modo possono essere rielaborate preparando la persona ad integrare l’esperienza di perdita.
L’espressione delle proprie emozioni esercita un inevitabile impatto sulle persone presenti. Le interazioni tra le persone di una medesima famiglia sono frequenti e significative e determinano quello che in psicologia si definisce “contagio emotivo”: le emozioni sono parte di un tacito scambio tra le persone che trasmettono ma anche captano i reciproci stati d’animo in una continua interazione reciproca. Questa sincronia facilita l’invio e la ricezione degli stati d’animo altrui, anche quando questi ultimi sono negativi. È verosimile che i bambini abbiano già compreso lo stato d’animo della madre che sperimenta un dolore legato ad un lutto importante, quale quello del proprio genitore, ma non riescano ancora a comprenderne appieno le ragioni. Per i bambini, poter dare un nome agli eventi e alle emozioni consente di superare la confusione ed è rassicurante. È quindi importante che i genitori affrontino con loro quanto è accaduto, superando la propria resistenza a parlarne. I genitori possono esprimere i propri vissuti, comunicando come si sentono e perché, senza dare spiegazioni lunghe e complesse, ma semplicemente fornendo ai bambini una chiave di lettura dell’atteggiamento degli adulti significativi. Raccontare gli eventi familiari che sono accaduti e rispondere alle domande con un linguaggio adeguato all’età del figlio e nel rispetto dei suoi tempi.
È poi importante che i genitori si mettano in ascolto, accogliendo e legittimando le emozioni del figlio, senza forzarlo a parlare ma rispettando il suo eventuale silenzio sull’argomento, mantenendosi, al tempo stesso, disponibili ad aiutarlo a comprendere cosa sta provando.
14. Mio figlio di cinque anni è molto geloso del fratellino di cinque mesi. Da quando è nato è diventato più taciturno. Diventa ombroso e si ritira in camera sua quando qualcuno viene a farci visita per vedere il neonato. Ieri mi ha detto che lo odia e ha chiesto a noi genitori perché lo abbiamo fatto nascere. Come posso aiutarlo a superare questo momento?
La gelosia è un comportamento che si verifica di frequente nel bambino manifestandosi in diverse maniere: regressione a forme più infantili di condotta, aperta ostilità verso la persona che la suscita o trasferita su altri, atteggiamenti di ritiro e di isolamento. La nascita di un fratello più piccolo che, soprattutto nei primi mesi di vita, catalizza le attenzioni materne costituisce la situazione più frequente in cui si manifesta la gelosia in età evolutiva. Il bambino, fino a quel momento al centro delle attenzioni dell’adulto, si trova improvvisamente un soggetto periferico che vive una condizione di subalternità rispetto al nuovo nato. Il primo passo è riconoscere il suo dolore e legittimare il suo sentimento per la presenza del fratello che ha rivoluzionato il suo mondo. Occorre dedicare tutto il tempo possibile al fratello maggiore riconoscendogli il suo ruolo e le sue competenze maggiori e ben diverse da quelle del fratello neonato. Ad esempio, ribadire al figlio maggiore che lui è grande mentre suo fratello è piccolo e non possono essere simili né avere i medesimi ritmi. Il neonato non sa fare altro che mangiare, piangere e bagnare il pannolino mentre lui sa già disegnare, colorare, andare in bagno da solo e andare alla scuola materna dove ha già degli amici.
15. Mia figlia di due anni è la bambina più esile della sua classe. Oggi il menu del nido prevedeva pastina con pesce al vapore e patate, ma lei ha assaggiato il primo e poi ha lasciato a metà il secondo. Quando la riporto a casa devo prepararle un pasto in sostituzione del pranzo per incoraggiarla a mangiare?
L’alimentazione dei piccoli è un tema estremamente delicato poiché il nutrimento risulta il primo atto di cura richiesto ai genitori. Nel corso dei primi mesi di vita non è facile comprendere gli stati d’animo del bambino perché il neonato, semplicemente, non parla, ma piange! Quando un bambino non cresce di peso il genitore vive un inconsapevole senso di inadeguatezza alimentato da un dialogo interno improntato all’autosvalutazione delle proprie competenze (“Se non mangi non sono bravo; “Se non ti nutro a sufficienza non sono un bravo genitore”; “Se non mangi è colpa mia”; “Se non mangi non mi vuoi bene”). L’alimentazione è infatti carica di valenze psicologiche poiché il cibo costituisce il primo rapporto che il bambino instaura con il mondo.
Non risulta opportuno focalizzarsi in maniera eccessiva sulla quantità di cibo ingerita dal momento che il bambino è in grado di autoregolarsi ed esistono anche altri parametri correlati allo stato di benessere di un bambino. La somministrazione di pasti al di fuori dell’orario, temendo una carenza di nutrimento, contribuisce ad aumentare la preoccupazione familiare sul cibo e può essere vissuta dalla bambina anche come una faticosa costrizione. È invece utile non perdere di vista l’aspetto ludico e di piacere legato al cibo coltivando la curiosità e promuovendo la sperimentazione. Si può, ad esempio, proporre nuovi sapori oppure riproporre piatti anche laddove erano stati inizialmente rifiutati. È infatti possibile che un sapore, sgradito in una determinata fase della vita, possa invece rivelarsi gradevole in un momento diverso.
Se hai altre domande o hai ancora dei dubbi, puoi rivolgerti per una consulenza personalizzata al tuo pediatra di fiducia oppure al Consultorio Familiare della tua zona, qui trovi un elenco completo.