Abilità emozionali

Questione di Grandezze

Lorenzo azzarda un paragone tra la sua infanzia e quella di suo figlio. Non vorrebbe viziarlo e non capisce come mai lui non si diverta con tutti i bellissimi giochi che ha, ma non è detto che i bisogni di Simone siano uguali a quelli di Lorenzo da bambino, forse per capire meglio il piccolo Simone, Lorenzo dovrebbe mettersi “alla sua altezza” senza fare paragoni!

I bambini imparano pian piano a riconoscere le emozioni nelle loro diverse gradazioni e a metterle in relazione con le situazioni in cui si manifestano. Questo significa sviluppare l’intelligenza emotiva, una capacità creativa e di connessione con gli altri. Capiamo meglio….

nido insieme

Parola all’esperto:

Viviana Giorgetti

In questo breve video, Viviana Giorgetti, Psicologa dell’ATS Città Metropolitana di Milano, ci spiega che una fase estremamente importante dell’allenamento emotivo consiste nell’aiutare i bambini a dare un nome alle emozioni che stanno provando. Fornire ai propri figli le parole può aiutarli a trasformare una sensazione sgradevole in qualcosa di definibile come ogni altro normale elemento all’interno della vita quotidiana.

Approfondiamo

Situazione tipica

“mio figlio rimane in disparte e gli altri bambini lo escludono/lo prendono in giro; mi sono già lamentato più di una volta, adesso lo porto via”.
Invece che mettersi in ascolto del bambino e di sé, il genitore trova un responsabile esterno con cui prendersela: gli educatori, gli altri genitori, gli altri bambini, ecc…

“mio figlio è tremendo, ne combina di tutti i colori, ogni giorno quando vado a prenderlo mi aspetto già le lamentele dell’educatrice o degli altri genitori e mi tocca sempre fargli una sfuriata. Anche se lo sgrido e lo punisco non cambia niente”.

“Non ne posso più. Con mio padre avrebbe rigato diritto, io non mi sarei permesso!” Anziché mettersi al fianco del figlio per aiutarlo a tradurre/significare le sue emozioni lo colpevolizza

Descrizione del fenomeno

L’adulto prova sensazioni già provate da piccolo e rivive emozioni già vissute in passato.
Accade che quello che si è subito e che ha fatto stare male venga fatto vivere allo stesso modo al figlio, perché è un comportamento noto e ben memorizzato.
Anche se l’adulto sa che fa stare male, è spontaneo e facile che riproduca la stessa sequenza di sofferenza, perché prevale la consuetudine rispetto alla consapevolezza che la riproduzione di un comportamento provochi sofferenza e dolore.

È importante spezzare questa catena e accettare la propria sofferenza modificando la replicazione di comportamenti umilianti e frustranti.

Cosa possono fare i genitori per prevenire

Una fase estremamente importante dell’allenamento emotivo, consiste nell’aiutare i bambini a dare un nome alle emozioni che stanno provando. Fornire ai figli le parole può aiutarli a trasformare una sensazione amorfa e sgradevole in qualcosa di definibile e quindi con confini ben precisi, come ogni altro normale elemento all’interno della vita quotidiana.
La collera, la tristezza e la paura diventano così espressioni comuni a tutti e che tutti sono in grado di gestire.
Dare un nome alle emozioni ha un effetto rasserenante sul sistema nervoso e aiuta i bambini a uscire più in fretta dalle situazioni di turbamento. Quindi per essere bravi allenatori emotivi bisogna aiutare i piccoli a sviluppare un vocabolario con cui esprimere le emozioni.
Dopo aver riconosciuto l’emozione che sta dietro un comportamento sbagliato, essersi messi nei panni del piccolo, aiutarlo a dare un nome a quello che prova, bisogna fargli capire che se anche il sentimento e l’emozione negativa sono comprensibili certi comportamenti sono inaccettabili.
E’ infatti compito dei genitori porre dei limiti a capricci e comportamenti sbagliati o pericolosi.
Per aiutare un bambino piccolo a trovare da solo la soluzione al problema che lo affligge si può inscenare un gioco di fantasia, come usare delle bambole e sceneggiare le due versioni di una soluzione (quella giusta e quella sbagliata).
Ad esempio: due bambole possono essere coinvolte nella lite per un giocattolo. Nel primo scenario, la bambola afferra il giocattolo senza nemmeno chiederlo. Nella seconda, la bambola chiede di poter prendere il gioco e propone all’altra bambola di giocare insieme.
Utile è raccontare come il genitore ha affrontato i problemi simili da piccoli e che cosa si è imparato da quella esperienza.

A chi chiedere aiuto in caso di necessità

Lo psicologo può aiutare a raggiungere la consapevolezza di distinguere le proprie esperienze negative rispetto all’identificazione col figlio, permettendo di elaborare i propri vissuti e aiutando il bambino a trovare la propria dimensione.
Lo psicologo può offrire strumenti efficaci per raggiungere l’empatia con le emozioni del figlio mantenendo la distanza utile per evitare di ricadere in comportamenti subiti dai propri genitori e permettendo loro di acquisire competenze di riconoscimento di emozioni e di gestione delle stesse.

Share This