FAQ – Genitori

Gli esperti rispondo alle domande più frequenti dei genitori

L’attività svolta nell’ambito del progetto Nido per Amico e del Servizio Nidoinsieme si è caratterizzata per un prezioso supporto ai genitori e alle famiglie di bambini nella fascia d’età della prima infanzia, oltre che agli educatori delle comunità nido e scuole dell’infanzia, affiancandoli e sostenendoli in relazione alla condivisione di paure, ansie, traumi e difficoltà in genere, connesse all’emergenza sanitaria ma non solo.

Di seguito si riportano alcune domande frequenti, che possono aiutarvi ad inquadrare o affrontare determinate problematiche.

Faq genitori

1. Quando siamo a casa, se noi genitori non possiamo giocare con lui, mio figlio si annoia e chiede di guardare la TV (o il tablet o il cellulare) per intrattenersi. Quali attività posso organizzare per fargli passare il tempo?

Le ricerche neuroscientifiche confermano che nella prima infanzia è bene limitare il tempo trascorso davanti alla TV (o altri dispositivi) a un numero di ore variabile tra una e tre, in base all’età.

Tuttavia, questo non significa che i genitori debbano essere sempre a disposizione per giocare, né tanto meno che debbano fare gli “animatori”.

Innanzitutto, già dalla prima infanzia è possibile proporre e incoraggiare il gioco autonomo. Questo permette al genitore di svolgere le mansioni domestiche o di rilassarsi, mentre consente al bambino di sviluppare la creatività, l’indipendenza e un buon senso di auto-efficacia. E’ importante innanzitutto mettere in sicurezza l’ambiente in cui il bambino si muove e gioca, per evitare il rischio che si faccia male. In secondo luogo, è bene organizzare lo spazio in modo che sia il più possibile funzionale al bambino: pochi giocattoli (in modo che possa scegliere senza andare in confusione) disposti su ripiani bassi e ben stabili, oppure anche a terra dentro cesti e scatole. Esempi di giocattoli che possono andare bene per favorire il gioco autonomo sono: libri, disegno, sabbia magica, tessere magnetiche, costruzioni, puzzle, pista delle macchinine, peluches, bambolotti e tutti i giochi di role play (cucina, attrezzi, pulizie, ecc.). Infine, occorre lasciare che il bambino si concentri, fornendogli aiuto, supporto e consigli quando è necessario, ma senza sostituirsi a lui, senza direzionare la sua attività né correggerla o interromperla. Le prime volte sarà meglio rimanere lì accanto al bambino, nella stessa stanza, presenti. Dopo di che, si potrà man mano introdurre il concetto che ognuno, genitore e figlio, fa il proprio lavoro in stanze diverse. In ogni caso, anche quando suo figlio avrà iniziato ad abituarsi ai momenti di gioco autonomo e dimostrerà di apprezzarli, è importante che lei sia sempre disponibile per lui, rimanendo a vista, se possibile, o comunque a portata di orecchio.

Oltre a questo, può essere utile ricordare che la noia non è nociva, ma al contrario ha diversi benefici. Pertanto, anche “allenare” gradualmente il suo bambino a tollerare la noia è una valida alternativa alla TV.

3. Effetti psicologici a lungo termine del covid. Cos’è il Long Covid o sindrome post Covid?

Per Long covid si intende il persistere delle manifestazioni cliniche della malattia oltre le due settimane che ne caratterizzano la fase acuta.

Si tratta di una entità clinica specifica che è attualmente oggetto di studio multidisciplinare dato l’ampio spettro di manifestazioni che la caratterizzano.

Essa determina la sensazione di non riuscire a recuperare appieno lo stato di salute antecedente alla malattia. Ci si può sentire, ad esempio, eccessivamente stanchi, avere dolori diffusi, fiato corto, cefalee, insonnia, riduzione dell’appetito. Oppure disturbi cardiovascolari, neurologici o gastrointestinali. 

Le ricadute psicologiche a lungo termine del covid possono coinvolgere sia la sfera emotiva individuale che quella familiare e lavorativa.

Vissuti di paura, smarrimento, senso di solitudine e abbandono sono alcuni degli effetti psicologici che l’esperienza del Covid può aver avuto su di noi e che possono persistere anche quando la malattia è stata superata. Un esempio è la cosiddetta “sindrome della capanna”: la paura di uscire e lasciare la propria casa anche quando non persistono più le restrizioni sanitarie.

Alcuni studi sugli effetti a lungo termine del covid hanno evidenziato che in ambito familiare viene riportato un generale peggioramento nei rapporti con il proprio partner e con i propri figli. Mentre in ambito lavorativo è stato rilevato un incremento della fatica percepita nello svolgimento delle proprie mansioni.

2. Come rendere partecipe mio figlio nell’aiuto alle vittime di guerra?

E’ possibile coinvolgere concretamente i nostri bambini nell’aiuto di queste persone sfortunate nello stesso modo in cui lo faremmo noi adulti, ad esempio tramite gesti pratici di solidarietà. Innanzitutto si può spiegare loro che tante delle persone coinvolte nella guerra si sono trovate da un giorno all’altro senza quasi più nulla, nemmeno una casa, perché obbligati a fuggire per proteggersi, dunque le popolazioni dei paesi vicini con meno difficoltà hanno deciso di donare loro beni di prima necessità e alcuni dei loro oggetti, come coperte, vestiti etc, per aiutarli ad affrontare meglio il loro viaggio verso un luogo più sicuro, che potrebbe essere anche il nostro paese. Qualcuno ha persino deciso di ospitarli nella propria casa! A questo punto è possibile coinvolgere i nostri piccoli nella scelta di un oggetto personale o un giocattolo che avrebbero il piacere di far avere ad un loro coetaneo in difficoltà, magari affidandosi alle raccolte organizzate dalle proprie scuole o comuni. Si può pensare, inoltre, di allegare un messaggio all’oggetto con scritto un pensiero o il nome del vostro bimbo. Chi lo sa, forse un giorno il bambino ucraino che avrà ricevuto quel dono frequenterà la stessa scuola di nostro figlio!

5. Mio figlio spesso non ha voglia di uscire e mi chiede di restare a casa. Mi dispiace e vorrei aiutarlo ma non so come fare

Un bambino che non vuole uscire può creare allarme nei genitori che possono leggerlo come sintomo di insicurezza, di un carattere timido o di una difficoltà di relazione con gli altri bambini. In questo contesto, è più che comprensibile la preoccupazione degli adulti e il desiderio di proteggerli da una possibile fonte di sofferenza.

Di solito si cerca di proporre attività sempre nuove e stimolanti per creare interesse oppure si cerca di rassicurarli e trasmettere loro fiducia e sicurezza.

In realtà – come molti comportamenti dei bambini più piccoli – può trattarsi di una fase transitoria che corrisponde ad un bisogno momentaneo del bambino e che non necessita di interventi specifici. Anche l’indole del bambino ha una sua rilevanza in queste situazioni: ci sono bambini molto estroversi mentre altri sono più timidi e riservati ma senza che ciò corrisponda a particolari situazioni di disagio o a fonti di preoccupazione.

Alcune utili indicazioni possono essere:

  • non preoccuparsi subito e aspettare di capire se si tratta di un momento di particolare bisogno del bambino destinato a risolversi da solo. In questi casi, anzi, la nostra preoccupazione potrebbe essere avvertita dai bambini andando a sollecitare in loro un ulteriore bisogno di vicinanza e protezione.
  • creare delle routine (es. il parco dopo l’uscita dal nido/scuola materna) che sono rassicuranti per i bambini: per i più piccoli, a volte, il dover prendere delle decisioni (es. cosa fare, dove andare, cosa mangiare) può rappresentare una responsabilità molto maggiore di quello che pensiamo; al contrario, il poter esprimere il proprio disaccordo trovando però i genitori saldi nelle loro decisioni può essere molto rassicurante.
  • seguire, agevolare e accettare l’indole di nostro figlio: non tutti i bambini sono uguali fra loro e bisogna sempre stare attenti a non sovrapporre l’ “ideale di bambino” che ciascuno di noi ha in mente con la realtà dei nostri figli; i bambini hanno tempi e modalità di sviluppo anche molto diversi l’uno dall’altro, per cui è anche possibile che un bambino possa trovare interessante la compagnia dei pari in un’età magari più avanzata rispetto ad altri naturalmente più estroversi e socievoli.

valutare se si tratta di un periodo per qualche aspetto delicato o difficile per la famiglia o per uno dei genitori. In questo caso, la scarsa propensione a stare fuori potrebbe indicare il fatto che il bambino ha colto – anche in modo inconsapevole – che a casa c’è qualche difficoltà. In questo caso può essere utile l’aiuto di uno specialista che aiuti la famiglia a superare il momento di fatica.

4. Sto notando che mio figlio ha ripreso a fare cose che faceva quando era più piccolo: fa pipì a letto, fa i capricci per andare a dormire, fa fatica ad andare a scuola. Come devo comportarmi?

A dispetto di quanto si possa immaginare, l’andamento dello sviluppo dei bambini e l’acquisizione di nuove abilità e autonomie non segue un processo lineare. I bambini procedono piuttosto per avanzamenti e regressioni nel corso del loro sviluppo psicologico. Si tratta di un processo del tutto normale che ha lo scopo di permettere al bambino di acquisire maggior sicurezza nei suoi mezzi. Come se esplorasse nuove modalità per poi tornare alle precedenti per poi proseguire di nuovo in avanti non appena si sentirà più sicuro dei suoi mezzi. E’ dunque comune che ciò accada senza che rappresenti un segnale di sofferenza o di alterazione del consueto sviluppo dei bambini.

L’aspetto importante in circostanze come queste è quello di porsi nei confronti del bambino con un atteggiamento di comprensione, disponibilità e supporto. Rispettare i suoi tempi, comunicandogli che va bene così, lo aiuta a sentirsi al sicuro in quel momento, permettendogli di ricominciare ad esplorare e acquisire nuove autonomie in un secondo momento.

Questi comportamenti regressivi sono poi accentuati da momenti di cambiamento o di stress vissuti nel proprio contesto quotidiano. Rappresentano una richiesta di vicinanza e protezione in questi momenti in cui il bambino può sentire maggiormente il bisogno di essere dipendente dall’adulto per affrontare situazioni nuove come ad esempio l’inizio della scuola, o un cambiamento nelle consuete routine familiari o ancora nei momenti di stress psicologico degli adulti di riferimento. In quest’ultimo caso può essere utile riflettere sul proprio stato emotivo e condividerlo con i propri bambini, stando sempre attenti a rassicurarli, utilizzando parole adeguate alla loro età. Ciò può essere una buona occasione di condivisione emotiva che permette al bambino di avere un’idea di ciò che accade e comprendere che è possibile parlare e affrontare tutti i tipi di emozioni, anche quelle che possono provocarci dispiacere o sofferenza.

6. Mi rendo conto che a volte, per stanchezza o nervosismo, ho reazioni eccessive, sia con il mio partner sia con mio figlio. Devo preoccuparmi?

I due anni di pandemia ci hanno messi a dura prova ed è normale che possano esserci degli strascichi, tra i quali, appunto, stanchezza e nervosismo – che vanno a sommarsi al normale stress quotidiano.

Essere buoni genitori, così come essere buoni partner, non significa andare sempre d’accordo né essere perennemente felici né saper sempre gestire nel migliore dei modi tutte le situazioni.

I risultati di alcuni studi condotti nell’ambito dell’infant research, infatti, ci dicono che vale la cosiddetta regola dei terzi. Questa “regola” afferma che una relazione genitore-figlio è funzionale quando, della totalità delle interazioni, un terzo avviene in sintonia e armonia, un terzo riguarda le rotture e le incomprensioni, un terzo consiste nei tentativi, da parte del genitore, di riparare.

Quindi, scusarsi per la reazione avuta, esprimendo in modo sincero e autentico il proprio dispiacere senza cercare giustificazioni, è spesso il modo migliore per ricucire la comunicazione e rasserenare l’atmosfera familiare. Con il partner, è utile anche parlare in modo aperto del proprio stato d’animo, condividendo le proprie difficoltà o fatiche.

7. Mio figlio fa domande riguardo la guerra in Ucraina, è giusto affrontare l’argomento? Come posso parlargliene senza turbarlo?

La guerra in Ucraina è oggi un tema centrale nell’informazione e nelle preoccupazioni dei cittadini.

Potremmo ritenere che si tratti di un argomento non adatto ad essere trattato con i bambini e quindi essere portati, per proteggerli, ad evitarlo o a negare le nostre preoccupazioni di fronte alle loro domande.

I bambini però osservano e percepiscono una serie di segnali che provengono da diversi canali: la tv, i discorsi degli adulti e soprattutto dal clima di preoccupazione che circola tra tutti noi. Questi messaggi giungono ai bambini e per questa ragione è importante che vengano inseriti in un racconto, in una narrazione coerente che gli permetta di dare un senso a ciò che stanno percependo e osservando.

Il tema della guerra inoltre non è del tutto estraneo ai bambini. E’ presente nei loro giochi e in questi giorni potrebbe capitarci di osservare che lo è più di frequente. Si tratta di un gioco di ruolo utile a comprendere delle importanti differenze, come ad esempio quella tra bene e male, tra giusto e sbagliato o i diversi ruoli che si possono assumere all’interno di un gruppo, ed inoltre, permette di esplorare in maniera protetta, giocosa appunto, un’ampia gamma di emozioni: dalla rabbia alla compassione. Si tratta della costruzione di un vero e proprio copione che viene messo in scena per comprendere ciò che sta accadendo. Parlarne con loro è dunque utile a facilitargli questo compito.

Per farlo potrebbe essere utile partire da sé stessi, provando a chiedersi cosa si è capito di questo conflitto e qual è il proprio vissuto a riguardo. Questo passaggio è importante perché i bambini tentano di darsi una risposta partendo soprattutto dai messaggi che raccolgono dai propri genitori e adulti di riferimento. Può essere un utile punto di partenza per creare insieme ai bambini un racconto coerente e condiviso. Se si è spaventati dal conflitto, ad esempio, questa preoccupazione passerà ai bambini ed è giusto non negarla condividendola con loro e rassicurandoli al tempo stesso che non si è direttamente in pericolo. Così come, se si ritiene che questo conflitto sia ingiusto, la rabbia è un’emozione che può essere percepita dai bambini e dunque condivisa con loro se il tema è quello del senso di ingiustizia.

Un’accortezza che può essere tenuta è quella di evitare di esporre i bambini direttamente alle notizie dei telegiornali, che rischiano di essere violente e allarmanti. E in generale provare a limitare, solo ad alcuni momenti della giornata, il tempo che noi adulti dedichiamo all’aggiornamento riguardo al conflitto. La sovraesposizione alle informazioni, spesso anche incerte in questo momento, rischia di aumentare il nostro livello di preoccupazione e di rendere il conflitto l’argomento principale delle nostre giornate.

8. Non tutti i genitori sono sufficientemente attenti ai tempi di guarigione dei bambini, ma affrettandone il rientro a scuola rischiano di mettere a rischio di contagio i bambini degli altri

Con l’allentamento delle misure restrittive anti-contagio da Covid, hanno ripreso a circolare anche tutti gli altri virus e le altre malattie: nel momento in cui si pensava, finalmente, di essere usciti dalla situazione di emergenza continua che ha caratterizzato i due anni precedenti con chiusure e quarantene delle classi, ci si è invece trovati con i figli spesso a casa a causa di altre malattie. E’ chiaro che dover pensare ad una sistemazione per i giorni in cui i bambini sono ammalati è talvolta molto complesso, soprattutto per i genitori che lavorano e che non possono contare su figure di aiuto quali per esempio i nonni. Dopo due anni davvero difficili, inoltre, la fatica accumulata dai genitori nel riuscire a far quadrare tutto è davvero molta.

E’ importante sottolineare, però, che con la pandemia abbiamo assistito all’impossibilità dei genitori di conoscersi fra loro e, di conseguenza, di creare un reale clima di cooperazione e di fiducia reciproca. Questo ha portato da un lato a comportamenti individualisti, con genitori che faticano a focalizzare le conseguenze che un loro comportamento può avere sulla comunità; ancora più spesso, però, la mancanza di conoscenza reciproca può creare un clima di sospetto e diffidenza che porta a giudicare e generalizzare senza poter comprendere e accettare la peculiarità di ciascuna situazione specifica. Per questo motivo, in questi casi è molto importante avere fiducia nella scuola e nella capacità delle educatrici di valutare le singole situazioni. In caso di dubbio, il consiglio è quello di rivolgersi alla scuola per chiarimenti e un confronto.

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